AUTORITRATTO
Può sembrare facile e, per certi versi, anche divertente scrivere di sé. Invece l’autoritratto riserva alcune insidie, perché insieme alle belle cose realizzate si pensa inevitabilmente agli errori, agli obiettivi che ancora non sono stati raggiunti. In questo modo si rischia di lasciare sullo sfondo il proprio cuore, che non sa cosa farsene dei bilanci. Ciò non significa che io non sia orgogliosa delle tappe raggiunte o che non mi piaccia impegnarmi in nuovi progetti. Nel viaggio della vita è molto importante capire dove si sta andando, valutare i pro e i contro delle proprie decisioni. Ma in tutta sincerità, il traguardo che meglio mi definisce, sta nel dialogo interiore con quelle zone d’ombra che sono la sorgente spontanea, silenziosa e imprevedibile di ogni risorsa creativa.
“Il pittore sta realizzando qualcosa di buono solo quando non ha più idea di cosa stia facendo”, scriveva Edgar Degas a proposito dello “stato di grazia” dell’artista nel momento in cui avverte a livello viscerale, che l’opera a cui sta lavorando gli è stata affidata da una dimensione misteriosa, più grande dei suoi pensieri, più ampia del suo talento e di qualsiasi altra abilità personale. E’ così anche per i buoni libri e per qualsiasi altro frutto dell’invenzione.
Tornando all’autoritratto, la mia passione dominante per le parole è stata preceduta da quella per le immagini. Ricordo che prima di impugnare la penna per scrivere scarabocchiavo pupazzetti, sulla parete dietro la porta del salotto, per non farmi scoprire. Avrò avuto quattro anni o forse meno, perché abitavamo ancora a casa di nonna Maria. Lei mi sgridava, si arrabbiava moltissimo, ma era più forte di me. Appena si distraeva, riprendevo quel gioco bellissimo, incapace di resistere all’impulso irrefrenabile che sicuramente doveva piacermi moltissimo.
In quest’ottica ho sempre amato ogni forma d’arte, coltivando in modo spesso inconsapevole, il gioco della creatività, il piacere del fare in contrapposizione al piacere di possedere qualcosa. La creatività risiede infatti nel processo giocoso che porta alla scoperta di nuove parti di sé, nella spinta a trasformare parole, materia ed energia secondo combinazioni nuove, attraverso il continuo gioco evolutivo. Gli scarabocchi dell’infanzia sono così diventati dipinti, decorazioni a terzo fuoco, sculture in ceramica. Alle poesie della scuola elementare si sono aggiunte quelle dell’adolescenza e le successive. Poi sono arrivati gli articoli sui quotidiani, i saggi, le rubriche, le storie brevi e quelle lunghe. A chi mi chiedeva quali di queste potenziali carriere parallele avessi intenzione di percorrere, non sapevo rispondere.
Ci ho messo un po’ per accorgermi che nelle attività creative non ci si trova mai veramente davanti a un bivio. Nessun obbligo di scegliere una strada, escludendo le altre. Per la non del tutto ovvia ragione che creare arte significa imparare a calarsi in quella dimensione di resa, di liberazione da ogni tentativo di controllo. Solo così si entra in sintonia con aspetti della realtà apparentemente inconciliabili. Delle molteplici esperienze non si butta via mai nulla, la materia prima per scrivere storie si trova ovunque. “A una mente tranquilla, l’universo intero si arrende”, diceva Chuang-Tzu, perché la trama che regge il reale, dentro e fuori di noi, si basa sulla capacità di lasciare emergere collegamenti tra elementi apparentemente separati e sul coraggio di trasformare gli schemi mentali obsoleti in nuove fonti d’ispirazione. Le idee nuove giungono spontaneamente proprio quando smettiamo di sentirci davanti a un bivio, prigionieri di una percezione cristallizzata di noi stessi e della realtà che ci circonda. La nostra vera identità sta nell’immaginazione che nasce dal rapporto in continua trasformazione con l’universo, liberi da un’individualità troppo limitante.
Raccontare se stessi in un autoritratto, di sicuro è più utile all’autore che non ai lettori. Ogni volta che si scrive il proprio curriculum, si intraprende un viaggio fatto di momenti importanti, scelte decisive, incontri, rimpianti, gioie, delusioni, speranze che hanno lasciato segni profondi, rendendoci la persona che siamo. Ultimamente navigando in rete, mi sono per caso imbattuta nel questionario di Proust, un passatempo che circolava nei salotti dell’epoca vittoriana. Dopo aver scoperto che Oscar Wilde, Mallarmé, Cézanne e altri artisti famosi si erano sottoposti a questa sorta di test ante litteram, mi sono incuriosita e ho risposto alle trenta domande. Nonostante il questionario risalga alla fine dell’Ottocento, suona ancora attuale. Ed è perfetto per descrivere me stessa, oggi.
- Il tratto principale del mio carattere: dire la verità, sempre. Anche a costo di mentire.
- La qualità che desidero in un uomo: una qualità non è sufficiente, ce ne vogliono almeno tre: sensualità, intelligenza, umorismo.
- La qualità che preferisco in una donna: autonomia a 360°.
- Quel che apprezzo di più nei miei amici: la lealtà.
- Il mio principale difetto: sono timida.
- La mia occupazione preferita: scrivere.
- Il mio sogno di felicità: dare e ricevere amore.
- Quale sarebbe, per me, la più grande disgrazia: non avere avuto un padre come il mio.
- Quel che vorrei essere: una bacchetta magica, che ha il potere di trasformarsi in qualsiasi cosa: un gatto, una formula chimica, un’intera biblioteca, un piatto di spaghetti con le cozze, una pista ciclabile, un nuovo sistema solare, eccetera.
- Il paese dove vorrei vivere: in Spagna.
- Il colore che preferisco: l’indaco.
- Il fiore che amo: le campanelle della fucsia.
- L’uccello che preferisco: il pappagallo Ararauna.
- I miei autori preferiti di prosa: Manzoni, Cervantes, Wodehouse, Henry Miller, Sandro Veronesi, Margaret Mazzantini, Ingebor Bachmann, David Israel, Piersandro Pallavicini e tanti altri.
- I miei autori preferiti di poesia: Omero, Dante, Marina Cvetaeva, Sylvia Plath, Eugenio Montale, Aldo Palazzeschi, Dino Campana, Pier Paolo Pasolini, Andrea Zanzotto, Pier Luigi Bacchini, Roberto Sanesi e tanti altri.
- I miei eroi preferiti nella finzione: Paperoga, Linus, Superman.
- Le mie eroine preferite nella finzione: Mafalda, Demetra, la Donna Bionica.
- I miei compositori preferiti: Beethoven, Rossini, Battiato, gli U2, Duke Ellington, Miles Davis, Thelonious Monk e tanti altri.
- I miei pittori preferiti: Guercino, Francisco Pacheco (che la pensava come me a proposito di Caravaggio e di El Greco), Tiepolo, Rembrandt, Monet, Matisse, Picasso, Attardi e tanti altri.
- I miei eroi nella vita reale: Peppino Impastato, Gino Strada, Nelson Mandela.
- Le mie eroine nella Storia: Maria Montessori, Artemisia Gentileschi, Rosa Parks.
- I miei nomi preferiti: Giulia, Valeria, Susanna per le femmine. Oscar, Orlando, Luca per i maschi.
- Quel che detesto più di tutto: la mia tendenza a procrastinare.
- I personaggi storici che disprezzo di più: i dittatori di tutti i tempi. L’elenco purtroppo sarebbe lunghissimo.
- L’impresa militare che ammiro di più: mia nonna quando, snobbando il metodo Montessori, si rimboccava le maniche e colpiva duro (non sarà stata un generale in uniforme, ma mio padre sosteneva che era molto peggio).
- La riforma che apprezzo di più: non una soltanto, ma tutte quelle che hanno promosso le varie campagne contro l’analfabetismo nel mondo.
- Come vorrei morire: davanti a una piacevole colazione estiva.
- Stato attuale del mio animo: felice di partecipare al gioco libero della vita.
- Le colpe che mi ispirano maggiore indulgenza: ingenuità e ignoranza.
- Il mio motto: volere è potere, ci insegnano fin da piccoli. Invece, per me, volere è volare. Perché se vuoi veramente qualcosa, le ali certamente ti spuntano.